"Ti rendi conto che davvero dietro ognuno di noi c’è una storia complessa, fatta di passato, accadimenti improvvisi, felici o anche no, e capisci che far bene il tuo lavoro è aiutarli - a tuo modo e per quello che ti compete - a gestire una fatica che è di tutti."
Quest’anno sono 21 gli anni in Pierluca & Associati.
Avevo appena finito la scuola: sono venuta a fare il colloquio, ma il primo anno non è andata.
Ci ho provato di nuovo l’anno dopo. Ho fatto il colloquio con Marco, che mi chiese: vuoi fare la ragioniera, la segretaria nello studio legale oppure vuoi lavorare nelle assicurazioni?
Io risposi che no, avevo studiato da ragioniera e quello volevo fare.
Va bene - mi rispose - ci penso. E dopo un giorno mi ha chiamata direttamente per chiedermi se volessi cominciare.
È iniziata così.
Poi ho capito che quella domanda era per comprendere se per me un lavoro valesse l’altro o se davvero volessi fare la ragioniera.
Era il risultato di uno sguardo attento sulla persona, che qui c’è per tutti: chiunque lavori in P&A viene visto come individuo con le sue particolarità e necessità, mai come una funzione aziendale.
Questo studio ha accompagnato la mia vita: da ragazza che ero, sono diventata donna, poi anche moglie e madre.
Come in ogni situazione, ci sono stati periodi più belli di altri, ma la mattina quando mi alzo, vengo volentieri al lavoro, tra le colleghe che fanno parte della mia quotidianità.
Mi occupo della contabilità, registro le fatture, faccio la prima nota, il bilancio di fine anno: insomma, tra le carte, i conti, i numeri, io vedo pezzi di vita delle persone.
Io non sono una che si apre subito, sono piuttosto riservata, ma piano piano questo posto mi ha aiutato a tirar fuori la parte più schiva di me. Con i clienti, che sento spesso, si stabilisce una relazione: tu sai di loro e loro sanno di te.
Ti rendi conto che davvero dietro ognuno di noi c’è una storia complessa, fatta di passato, accadimenti improvvisi, felici o anche no, e capisci che far bene il tuo lavoro è aiutarli - a tuo modo e per quello che ti compete - a gestire una fatica che è di tutti.
Sembrerà eccessivo, ma il nostro è un osservatorio sull’umanità.
Ognuno qui fa la sua parte, siamo un gruppo coeso, da sempre, da quando, tanti anni fa, facevamo il pranzo del venerdì tutte insieme, con le sedie disposte lungo il corridoio: una a fianco all’altra, con la sua ciotola del pranzo e la bottiglietta d’acqua poggiata a terra.
Mentre mangiavamo, ci raccontavamo cose semplici, divertenti e anche sciocche: ci ridevamo su e ci univamo.
È un ricordo bello che porto con me, anche ora che lavoro in part-time, per conciliare meglio famiglia e lavoro: ho due figli, Giovanni - 14 anni, nato il giorno del mio matrimonio, il 26 agosto - ed Eleonora, di 9 anni.
Cosa ho scelto come oggetto che mi rappresentasse?
I miei tre anelli: due me li ha regalati mio marito alla nascita dei figli. Il terzo, c’è da prima che io nascessi. Lo aveva trovato mio nonno, che è morto molto presto. Mia madre voleva regalarlo, ma invece mio nonno disse di no, “se avrai una figlia femmina, lo daremo a lei”.
Così quando andavo a casa di mia nonna, aprivo la scatolina con quell’anello dalla pietra azzurra e lo indossavo sulle dita sottili, in attesa che crescessero per poterlo mettere.
Ora che le mie dita sono grandi, sono sempre tutti e tre con me, nella mano sinistra, quella del cuore.