OUR PEOPLE: CONOSCIAMO MEGLIO CLAUDIA DI SPAZIO PAGHE

"...penso al mio lavoro come a prendersi cura della persona che sta nascosta tra quelle righe. È lì, basta saper leggere: i numeri parlano, raccontano, non sono mai muti."

C’era una volta, in un paese lontano lontano…

Di solito le storie iniziano così, ma non per me.

Le mie storie sono fatte di numeri e codici: da trent'anni mi occupo di buste paga. Sotto gli occhi, mi scorre la vita delle persone attraverso certificati medici, assegni familiari, permessi, prestiti. Non dimentico mai che dietro a un tabulato, un foglio, ci sono esseri umani, con le loro fatiche, cambiamenti, quotidianità, scelte.

È iniziato tutto tanti anni fa: quest'anno sono 31 anni.

Avevo 18 anni e avevo appena finito ragioneria: cercavo un lavoro, mi presento in questo studio. Faccio il primo colloquio con il Dottor Marco, ma poi l’estate contavo di passarla allo stabilimento balneare dei miei. Prendiamoci un po’ di tempo, riparliamone a settembre. Invece, dopo una settimana, faccio un altro colloquio con Roberta e mi assumono subito.

Da quell’estate, sono qui.

Da subito il mio incarico è stato quello di fare le paghe: non avevo la minima idea di che cosa dovessi fare. Inizio con cose semplici, ma con il tempo acquisisco competenza e capacità.
Ora è un mondo che mi affascina: penso al mio lavoro come a prendersi cura della persona che sta nascosta tra quelle righe. È lì, basta saper leggere: i numeri parlano, raccontano, non sono mai muti.  

Non so, forse una parte di me aveva capito fin da piccola quale fosse la mia vocazione: amavo giocare con la calcolatrice, mettere in fila, calcolare, ordinare i numeri. Appagava già da allora il mio lato razionale. Da grande quei numeri hanno cominciato a parlarmi di famiglie, progetti, fragilità, umanità.  

Chi non è del settore, fa fatica a districarsi tra leggi, norme, tasse, contributi: per me è come prenderli per mano e fare un pezzo del viaggio insieme. Ci sono aziende con cui parlo da trent'anni: è impossibile non lasciarsi coinvolgere, pur volendolo. Ma io non lo voglio.

Al lavoro ci passiamo la maggior parte della nostra vita e non mi sono mai resa impermeabile alle relazioni, né con i clienti e tantomeno con le colleghe.

Mi piace paragonarmi a una noce: un guscio duro con dentro un gheriglio da custodire. Una gran ricchezza, quella fragilità da proteggere: è vero che forse sento con più nitidezza la sofferenza che capita, ma di contro sono consapevole di saper vivere e condividere emozioni forti con chi mi è accanto. E qui, ho avuto la fortuna di incontrare un gruppo molto unito, con cui ci frequentiamo anche dopo il lavoro: aperitivi, cene di famiglia, vacanze.

31 anni sono tantissimi: il lavoro è stato il contenitore delle nostre vite.

Ero poco più di una bambina quando sono entrata, e poi la vita accade: perdite, amori finiti, la gioia dei viaggi con le amiche, il ballo, l’incontro giusto e poi 13 anni fa, Nicola. La cosa più bella per me è baciare mio figlio: come questa mattina, al risveglio, sul letto insieme. Il mio corpo si rilassa, trova la sua quiete.

Sì, sono una donna fortunata, lo dico piano per non sembrare sfacciata.

Mi guardo indietro e vedo la ragazzina di un tempo: quanta vita per arrivare sin qui e quanta ancora ce ne sarà, almeno lo spero. In ogni caso, non posso che essere grata per tutta l’umanità che in questo viaggio mi è stata accanto. 

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