OUR PEOPLE: CONOSCIAMO MEGLIO ANDREA DI SPAZIO PAGHE

"Cosa vorrei lasciare di me a mia figlia? Il senso dell’amicizia. Sono stato fortunato, nella mia vita c’è sempre stato qualcuno con cui condividere gioie e difficoltà. E poi vorrei che badasse all’essenza delle cose, di puntare all’essenziale e non ai ghirigori."

 

 

Studiavo Giurrisprudenza a Bologna. Avevo iniziato a fare il praticantato della durata di diciotto mesi, sottopagato, e non riuscivo a mantenermi. Così, nel 2016, ho iniziato a lavorare in Pierluca&Associati perchè cercavo un modo per imparare il lavoro.

Sono l’unico uomo tra le dipendenti: ho imparato un sacco di cose del mondo femminile. Ci sto bene tra le colleghe. L’unica pecca è che il lunedì è impossibile parlare di calcio.

Per la foto ho scelto un pallone, non a caso.

Dai 6 anni fino ai 18, prima di iniziare l’università, ho sempre giocato a calcio. Ho iniziato da piccolo, con mio cugino più grande, fino a giocare nelle giovanili del Fano. Finite le superiori ho smesso, anche perché mi ero fatto male e non potevo più.

Però vado in curva a tifare, sempre per il Fano, ovvio. Lo sport mi ha dato tanto: sono cresciuto nel gruppo e lo spogliatoio è la cosa che mi manca di più di quegli anni.

In Pierluca&Associati ci lavora anche la mia compagna, Maddalena.

Con Maddalena era destino che ci mettessimo insieme: la prima volta che l’ho vista, eravamo in treno. Ho cercato di fare il simpatico, ma è finità lì: non mi ha dato spago e per un anno non ci siamo più visti. Poi un giorno me la sono ritrovata nella casa dove vivevo. Vado ad aprire alla porta, ancora mezzo addormentato e me la ritrovo davanti: era venuta a vedere la casa.

Da lì, non ci siamo più lasciati.

Da subito abbiamo preso un cane: un meticcio enorme, un incrocio tra un pittbull e un pastore. Ha un nome stranissimo: Knupfer, il nome di una maglia militare che si comprava ai mercati.

Knupfer è un fratello, cugino, figlio, tutto.

Mi ha aiutato a crescere, ad assumermi la responsabilità di un altro essere vivente, rivedere i miei orari scombinati da universitario per prendermi cura di lui. E poi mi ha aiutato nel rapporto con mio padre: vado da lui in campagna con Knupfer e parliamo camminando tra i vitigni e gli olivi, come prima non facevamo.

Ora c’è Alice, la nostra bambina. Prima che nascesse mi dicevano tutti che me ne sarei innamorato perdutamente. Beh, che dire: avevano proprio ragione.

Cosa vorrei lasciare di me a mia figlia?

Il senso dell’amicizia. Sono stato fortunato, nella mia vita c’è sempre stato qualcuno con cui condividere gioie e difficoltà. E poi vorrei che badasse all’essenza delle cose, di puntare all’essenziale e non ai ghirigori.

Ho sempre odiato chi giudica in base all’apparenza: a me non interessa come una persona è vestita, ma mi importa, e tanto, ciò che quella persona dice.

 

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